L'oratorio è costruito agli inizi del '600, per iniziativa di Vincenzo La Grua, allo scopo di diffondere il culto dell' Eucarestia in contrapposizione alla riforma luterana. L'oratorio è da ascrivere a quella scuola serpottiana che fiorì nel settecento a Palermo, grazie a Giacomo Serpotta. Anche la sua tecnica è particolare. Mette insieme gesso e polvere di marmo, che dopo una accurata levigatura riaffiora dando questo aspetto marmoreo al gesso. La struttura sorge accanto alla Madre Chiesa, ad aula rettangolare con un vestibolo e un coro, con grandi finestre laterali e nel coro. Per due porte lignee scolpite con il simbolo eucaristico in alto , si accede dalla piazza. L' interno appare rivestito di stucchi e affreschi; ed ha le due pareti laterali caratterizzate da tre zone distinte: da statue allegoriche; da ornamenti attorno alle finestre; dai quadretti (o teatrini) di storie sotto ciascuna finestra. Questi schemi compositivi caratterizzano gli oratori serpottiani. Nella prima zona troviamo una panca in legno, che corre lungo le due pareti, sorretta da mensole in pietra di billiemi. Nella seconda primeggiano, adagiate su un cornicione, le allegorie delle virtù cardinali e teologali. Dietro le figure si aprono delle nicchie racchiuse da una conchiglia, sormontate da fiori e motivi decorativi. Entrando a destra troviamo: la Chiesa che ha recinto il capo con la tiara e tiene con la destra una chiave, mentre sostiene sulle ginocchia un libro aperto; la Prudenza o Temperanza che versa dell' acqua da un' anfora; la Giustizia con la spada e la bilancia; la Speranza appoggiata all'ancora. A sinistra: la Penitenza (uno dei sette sacramenti); la Fortezza che stringe una colonna; la Carità che ha sfamato un bimbo; la Fede con i simboli eucaristici del Calice e dell'Ostia. Gli angioletti sulle lesene e sopra i cornicioni volano o si adagiano reggendo festoni con motivi curvilinei, cesti di fiori, ghirlande, volute, conchiglie e cornici. Tutti questi elementi racchiudono in sé un significato eucaristico e di passione cristologica. Sei piccoli bozzetti a tutto tondo sotto le finestre caratterizzano la terza parte. A destra troviamo: il sacrificio di Melchisedec a Jhaveh; un sacerdote su un cavallo; il miracolo di S. Antonio con la mula che si inginocchia. A sinistra: il miracolo di Bolsena; il miracolo di Torino; San Pasquale Baylon. Gli stucchi sono da attribuire al trapanese Vincenzo Messina, che alla fine del seicento lavora nella Chiesa Madre, come attestano alcune note di pagamento.. Un merletto di strucchi riempie la parte finale delle pareti e la volta, dove al centro di questa il trionfo della Fede con i simboli della passione sono affrescati dal messinese Filippo Tancredi, dove sembra ripetere le stesse caratteristiche formali e cromatiche del serpottiano oratorio dei sacerdoti di Palermo. Altri affreschi, nelle vele laterali, raffigurano il mondo pagano con le Sibille (Cumea, Frigia, Libica, Delfica) ed i quattro evangelisti, autori delle fonti scritte, con i loro simboli (San Luca con il toro, San Marco con il leone, San Matteo con l'angelo, San Giovanni Evangelista con l'aquila). Il mondo pre-cristiano è rappresentato da quattro Re del vecchio testamento (Davide, Salomone, Asa, Giosafat). I tre affreschi del presbiterio raffigurano Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella parete di sinistra una tela riproduce la moltiplicazione dei pani; a destra Sant'Elia che riceve il pane dagli angeli. Addossati ai pilastri del presbiterio troviamo due elementi figurativi tratti da un repertorio pagano, che qui assumono una valenza cristiana. La tela dell' Ultima Cena(di evidente influenza fiamminga) riempie l'altare. È attribuita a Pietro D'Asaro detto il monocolo di Racalmuto, pittore caravaggista attivo a Palermo nella prima metà del seicento. Questo oratorio rappresenta appieno quello che è il gusto dell'epoca, il " Barocco siciliano".
Fonte: Giuseppe RandazzoInserito da giuseppe randazzo