Secondo la tradizione agiografica, ripresa dagli Acta Sanctorum di Bolland, un anno esatto dopo il martirio di Sant'Agata, una tremenda eruzione scaturita sul fianco dell'Etna rovinò le campagne e procedeva in direzione di Catania. I villani, che erano venuti a conoscenza dei miracoli compiuti dalla donna, giunsero in città e presero alla martire il sudario, per portarlo in processione contro l'incombente minaccia lavica. La colata si arrestò al contatto con il velo, che da allora fu reputato miracoloso.
Fin qui il Bolland.
La tradizione reputò il Monte Monpeluso quale l'origine dell'eruzione.
Autori susseguiti all'agiografo belga, errando la traduzione del testo, ritennero che la lava si fermò alle porte della città e tentarono quindi una sua identificazione. Vi fu chi ritenne di averla ritrovata addossata all'Anfiteatro romano.
Tuttavia, addossata all'anfiteatro non vi è nessuna colata e mancano tracce di combustione alle pareti, mentre un grosso macigno ritenuto per secoli l'estremo lembo della colata è palesemente un masso di riempimento posto ad occludere i vomitoria dell'edificio, probabilmente durante la messa in sicurezza della metà del XVI secolo.
In anni recenti (2012) è stata analizzata la colata del Monte Monpeluso.
Le analisi hanno condotto ad un paio di interessanti conclusioni.
La prima, altamente rilevante, è la corretta identificazione del Monte Monpeluso quale l'origine dell'eruzione "di Sant'Agata". Dai rilevamenti è infatti emerso che la colata si può datare al 300 ± 100 (ossia in un arco cronologico compreso tra il 250 e il 350).
La lingua di lava scaturita durante l'eruzione, poi, è stata individuata solo fino a quasi sei km di distanza, nel territorio di Mascalucia. Ciò indica che la colata si arrestò molto prima di giungere a Catania.
Questo tuttavia non scredita il Bolland (che si limita a riportare la paura dei villani le cui terre coltivate erano minacciate dalla lava), ma solo quegli autori che inventarono una eruzione catastrofica tale da minacciare la città di Catania.
In queste lave si formò una delle più alte grotte di scorrimento presenti sull'Etna, caratterizzata da stalattiti di rifusione o denti di cane, da rotoli e da incrostazioni calcaree alle pareti formatesi durante l'attività eruttiva.
Al suo interno, un unico ambiente non molto profondo, una scarpata conduce ad una strettoia che costituisce la parte più prossima alla bocca eruttiva. Qui anonimi posero una riproduzione di Gesù Bambino e un rosario, come atto di devozione o per motivi di ritiro spirituale.
La grotta è abitata da organismi troglofili e troglobi. Tra i primi si annoverano sporadici chirotteri (in prevalenza i Ferrodicavallo, Rhinolophus ferrumequinum), tra i secondi la presenza di pseudoscorpioni e porcellini di terra (Armadillidium) adattati alla vita di grotta. Curiosamente, in prossimità dell'ingresso, si è sviluppata una piccola presenza vegetale, mentre nelle zone più buie non sono rari i miceti.
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