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Chiesa di San Filippo d'Agira - Limina

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Religioso, Storico

Il giorno 11 maggio la statua viene portata a spalla su di una vara, dal peso circa 900 Kg, dal centro abitato fino al Santuario di Passo "Murazzo", lungo la S.P. n° 12, da dove la stessa sera fa rientro nella propria Chiesa urbana.
Il 12 maggio, nel pomeriggio, ha luogo una solenne processione per le vie del paese.

I festeggiamenti
All' ottava, dopo una ulteriore processione nella prima mattinata, nel pomeriggio il Santo viene portato %u2013 da valide forze che procedono con andatura sostenuta %u2013 nelle contrade "Calvario", lungo una ripida salita che porta ad un'altura sita ad ovest dell'abitato, e "Durbi", zona questa situata ad est del paese. Il Simulacro quindi %u2013 nella tarda serata %u2013 in seguito ad ulteriori giri per strade principali del centro, rientra in Chiesa.
Il 17 agosto del 1958 venne sperimentata una ulteriore processione di S. Filippo allo scopo di accontentare i numerosi emigranti liminesi che tutti gli anni rientravano (e rientrano tuttora) al paese per trascorrervi le proprie ferie; l'esperimento riuscì così bene che nel 1964 la funzione religiosa venne definitivamente istituita e tutt'oggi la stessa viene celebrata ogni anno il 16 di agosto.

Ciò premesso, desideriamo soffermarci su come i liminesi un tempo svolgevano i festeggiamenti in onore di S. Filippo.
Fino all'anno 1949, in occasione dei predetti festeggiamenti, a Limina veniva praticata "a ddutta" (la lotta) che evocava la liberazione dell'isola dai demoni. Il Santo infatti era stato inviato nel 60 d. C. dal Sommo Pontefice in quanto possedeva dei poteri particolari per liberare gli ossessi.
Tale "lotta" consisteva in una sorta di "gara" dalle seguenti caratteristiche: correre col Santo sulle spalle (posto in una vara più leggera) lungo le vie principali del paese, piazza e corso Umberto I (oggi piazza G. Marconi e via G. Garibaldi), via Margherita (oggi via A. Siligato), via G. Verdi, via Roma, ecc..
La "lotta" si svolgeva, tutti gli anni, con alterne vicende, tra "I Mastri" ("Le Maestranze": muratori, sarti, calzolai, falegnami, ecc.) e "I picurara" ("I Pecorai": allevatori, contadini, operai, ecc.).
Essa veniva svolta nei pomeriggi del 12 maggio e dell'ottava (dopo la consueta processione per le contrade "Calvario" e "Durbi") ed aveva una durata di circa 5 ore per ciascun pomeriggio. Lo svolgimento veniva ordinato secondo un preciso regolamento (che oggi solo gli anziani ricordano) in base al quale a fine "manifestazione" veniva designata la squadra vincitrice.

Oggi dell'antica "Ddutta" sono rimaste alcune sfumature che si osservano di più il giorno dell'ottava e che tuttavia la caratterizzano come la Festa più affascinante dell'intera valle dell'Agrò.

Oltre la festa di S. Filippo un ulteriore diversivo per i liminesi era costituito dal Carnevale. Non vi era quartiere del paese ove non si danzasse; a parte le sale delle Società "Agricola" ed "Operaia", "u Sonu" (sala da ballo) veniva organizzato anche in case di privati.
Le danze nel periodo pre-Quaresima si protraevano per oltre un mese dal tramonto all'alba ed avevano diritto a danzare in codeste sale private o società solo i soci e gli organizzatori e lo strumento musicale adoperato era l' "urganettu" (la fisarmonica).
Raramente veniva ammesso in sala un estraneo solo se presentato da un frequentatore e con i dovuti requisiti morali.
In questo clima i giovani avevano forse l'unica possibilità nell'anno di frequentarsi e conoscersi meglio. Oltre i lisci, il ballo più caratteristico era la "contradanza" (si pensa di origine francese), eseguita da più coppie e costituita da varie figure che si alternavano al comando di un "maestro" che partecipava alla stessa danza.
Tutt'oggi la "contradanza" viene richiesta ed eseguita anche se non ha lo stesso fervore di un tempo, come gli anziani riferiscono.
Infine, non poteva mancare anche qui un pizzico di "liminesità": le danze si concludevano, come del resto ancora oggi, la domenica successiva alle "Ceneri" con un banchetto finale.
Questo antico costume di prolungare il carnevale in piena Quaresima (nostro Signore non ce ne voglia) ha il nome di "carnaluvarùni" che in tutto il comprensorio viene festeggiato solo a Limina.

L' ultima nota é stata riservata ai "Cantaturi" (cantautori di poesie dialettali liminesi).
In passato l'arma prediletta dal popolo era "a canzuna" (la canzone); per una serenata (con tutti i rischi derivanti), per lavare l'onta di una qualsiasi offesa, per avanzare un attacco verbale ad un rivale in amore, ecc., si ricorreva quasi sempre all' "urganettu".
Il paese in questo senso era ben fornito di squadre di "sunaturi" (suonatori) e "cantaturi" presso le quali il malcapitato, bisognoso di regolarizzare i propri conti, ricorreva per chiedere riparo.
In poco tempo il "team" veniva adunato e nel giro di un paio d'ore era già pronto per vendicare l'amico.

Non sempre queste serate si concludevano a buon fine, ma certamente avevano l'arduo compito di riempire la monotonia di quelle giornate.
Capitava infatti spesso di avere i Carabinieri alle calcagna (allorquando si usciva a cantare senza autorizzazione); in questi casi si correva il serio rischio di vedersi sequestrare lo strumento musicale.
Spesso accadeva che due di queste squadre si fronteggiavano a difesa dei propri assoldatori con conseguenti botte e risposte.
Il prof. Giuseppe Cavarra, cultore di poesia dialettale siciliana, nel suo testo "La lingua tra i denti", edito nel 1983, narra di una sfida che intorno al 1935 coinvolse tutti i poeti di Limina; la "proposta" era la seguente:

Sa sì pueta, rispunni a l'istanti:
fammi vidìri li ta sintimenti.
Pàrrunu tutti, nni dìciunu tanti,
ma nò si potti mai sapiri nenti;
rispunni a tonu senza mi ti scanti,
picchì vonnu sapìri %u2018sti genti:

Chi ìa lu munnu? Chi sunnu li santi?
Chi su' li celi %u2018nta li firmamenti?

Il paese era zeppo di poeti: Mazzagghia, u Cancilleri, Mastru Fulippeddu, u Ianciuleddu, Cacciola, Casablanca, u Crapareddu e dulcis in fundo "Bizzeffi" che fra tutti passò alla storia come il maestro dei maestri.
Giuseppe Nicola Saglimbeni nacque a Limina il 1° dicembre del 1864 da Carmelo (di professione "industrioso") e da donna Nunzia Manuli. A Limina morì il 14 luglio del 1945.
Del nomignolo Bizzeffi, col quale é stato sempre indicato, ignoriamo l'origine. Contadino, analfabeta, sembra che non si sia mai mosso dal paese, se si eccettua un breve periodo durante il quale andò a lavorare a Maletto (CT).

Ma torniamo a quella "proposta" e leggiamo come rispose il Saglimbeni:

Pueta sugnu e sempri mi nni vantu:
risposti ti nni dugnu cincucentu;
e ti rispunnu senza mi mi scantu
e ti lu dugnu qualchi %u2018nzignamentu.
Lu munnu non é risu, non é chiantu,
e no' si fici mancu %u2018nta %u2018n-mumentu.

Lu fici lu Signuri e quarchi Santu
e %u2018ccani chiudu lu ma tistamentu.

Il 22 gennaio del 1988, giusta deliberazione di consiglio comunale votata all'unanimità, venne istituito il Premio di Poesia Dialettale Siciliana "Bizzeffi" che viene svolto in agosto a Limina tutti gli anni e che vede la partecipazione dei più qualificati poeti della nostra isola.
Fonte: http://www.comune.limina.me.it/sitoweb/index.asp?S=FESTE-E-TRADIZIONIInserito da Alfio MONACO   

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