"La prima questione, che si presenta nella storia di un paese, è certamente quella dell'origine. Ma non sempre essa si può risolvere con certezza, poiché la maggior parte dei paesi hanno le loro origini avvolte nelle oscurità del passato." Con queste righe, il dott. Vito Graziano, inizia a parlare, nel suo "Ciminna, Memorie e Documenti" del suo paese natio, tentando di far luce sulla sua fondazione. Il suo contributo, nella ricerca storiografica di Ciminna, è stato senza dubbio notevole e non poca fatica ha dovuto incontrare nella ricerca spasmodica di atti e documenti relativi all'oggetto della sua opera.
Territorio frequentato sin dall'età del bronzo, conserva testimonianze di urbanizzazione che si datano precedentemente alla dominazione ellenica.
Dovette avere particolare sviluppo in età romana, mantenendo poi prerogative urbane nel periodo bizantino ed arabo.
Il centro urbano, documentato nel primo normanno, accresciutosi sotto Federico II, fu riferimento per i territori tra Palermo, Termini e Corleone. Alla feracità del territorio sembra legata l'origine del suo nome e dello stemma civico, una mammella.
Ciminna fu Terra feudale ambita dalle più cospicue famiglie del baronaggio. Matteo Sclafani ne fu signore ed a lui successe il nipote Guglielmo Peralta. Oggetto di contesa con i Ventimiglia che l'avevano occupata, pasò nel 1369 a Guglielmo, ultimogenito del Conte Francesco I. Per assenza di eredi maschi, nel 1619, pervenne ai Graffeo (Partanna).
Tra il Cinque e il Seicento una cospicua borghesia che fonda la sua ricchezza nel commercio frumentario ed armentizio attraverso la gestione dei latifondi feudali e che di fatto fornisce la classe dirigente ai paesi di nuova fondazione del circondario, è portatrice di istanze culturali concretizzate dal sorgere di istituti ed edifici religiosi, luoghi per l'esercizio della spiritualità, testimonianze di uno status che nei segni dell'arte trova modo di rappresentarsi.
Su quest'humus, non è perciò sorprendente veder fiorire personaggi di notevole spessore: Santo e Francesco Gigante, Vincenzo e Paolo Amato, G. Battista Manzella, Melchiorre di Bella e poi Luigi La Porta, Pasquale Sarullo, Giuseppe Rizzo, Vito Leto e nel trascorso secolo Vito Graziano, Salvatore Sarullo, Filippo Meli, Antonino Cuti ..... illustri nelle lettere, nelle scienze, nelle arti, nell'attivitità politica e sociale.
E la spiritualità espressa visibilmente nelle tante chiese e conventi, negli ancor vivaci sodalizi, nel culto plurisecolare verso il miracoloso Crocifisso di San Giovanni, è fiorita nelle figure di Tecla Gigante, in quel vivaio di santità che fu il Ritiro della Carità fondato da suor Margherita Corradino dove vissero Elisabetta Trippedi, della quale si era iniziato il processo di beatificazione, ed inoltre P. Giovan Battista Castelluzzo, il maltese P. Santo Grek, ciminnese d'adozione.
Ma Ciminna è interessante anche per la bellezza e la particolarità del suo territorio, per i suoli gessosi che hanno nei millenni dato vita ai noti fenomeni carsici che stanno alla base della istituzione della R.N.O. " Serre di Ciminna", per le tante e particolari tradizioni religiose e folkloristiche, dal festoso "Prucettu d'i malati" alla rullante "Furriat'e Torci", al frenetico "Triunfu d'a Marunnuzza" .
Il Centro Storico nelle ancor distinguibili zone medievali e recenti Terra Vecchia, Burgu, e Terra Nova, conserva scorci di articolare fascino per chi sa guardarlo ancora con occhi non viziati dall'abitudine, come Luchino Visconti che vi trovò i naturali scenari per il suo Gattopardo.
Il Territorio
Il sito più antico del territorio di Ciminna, come d'altronde anche il Graziano suppone, è da considerarsi il "PIZZO".
Lo storico Ciminnese, non potendo avvalersi dell'ausilio di suppellettili archeologici ha vagamente indicato ivi un agglomerato d'epoca Greco-romana. Non è chiaro ciò che il Graziano intenda dire con epoca Greco-romano, perché storicamente questo è un periodo così ampio da abbracciare più di un millennio. Oggi, siamo in possesso di un buon numero di reperti provenienti da questo sito, i quali ci dicono che siamo in presenza di un insediamento Sicano, distrutto intorno al quinto secolo a.c. probabilmente dalla stessa che pose fine all'agglomerato gemello del colle "Madore" presso Lercara Friddi e molti altri centri Sicani colpevoli di aver avuto rapporti commerciali e di amicizia con la potente Imera.
Ma, al contrario di altri siti Sicani distrutti dove non si trovano più tracce di continuità, sul "Pizzo" registriamo la presenza di un insediamento punico integrato con i resti degli indigeni assoggettati e a sua volta estinto con l'occupazione romana del territorio intorno all'anno 230 a.c. Di questo periodo, sono conservati nel locale museo monete con dritto/testa di Core e al retro/cavallo retrospiciente ed altri con dritta/testa di Core e retro/cavallo stante dietro palma oppure, dietro/testa di Core ed al retro/protome equina. Fra i reperti in argilla e ceramica, spicca una PROTOME BARBATA in argilla, resti di una ciotola con ansa ad anello, una coppetta con piede, resti di un piatto ombelicato, diversi resti di lucerne e brucia profumi.
In una piccola grotta quasi al centro dei " Pizzo ", a pochi passi dell'entrata, si nota chiaramente scolpita sulla roccia precisamente sulle parete destra, la figura della Dea " TANIT ". La sommità del monte Pizzo doveva con ogni probabilità essere il centro religioso, ed il luogo di sepoltura, l'agglomerato urbano vero e proprio era situato con molta probabilità ancora più a valle nella zona oggi chiamata " Lauro.
Dal monte pizzo, guardando ad est, si apre la vallata del fiume San Leonardo, al di là del quale, a quell'epoca, si intravedevano i territori che rientravano sotto il dominio della potente città greca Imera.
Da questo punto di vista, l'insediamento del Pizzo doveva essere di una qualche importanza strategica poiché doveva trattarsi dell'ultimo avamposto settentrionale dell'insediamento fenicio dell'isola.
Quasi a ridosso dell'insediamento punico del Pizzo, in direzione est, nella limitrofa contrada della " Cernuta " è sorto un sito romano quasi certamente nello stesso periodo in cui scompare ( probabilmente per distruzione degli stessi romani) il villaggio indigeno-punico, siamo all'incirca intorno all'anno 230/220 a.c. I resti romani della contrada " Cernuta " si trovano un po' ovunque e per una estensione di circa un chilometro quadrato, tanti quanti sono le due condotte d'acqua in terracotta costruite dai Romani che, partendo dalla sorgente " Cassone " a monte della contrada Cernuta, una in direzione est per poi scendere verso la vallata, l'altra che scende direttamente nella vallata, racchiudono in un perfetto quadrato tutta la contrada, con un sistema d'irrigazione tipicamente romana.
Fonte: http://95.110.168.248/ciminna/oc/oc_p_elenco.phpInserito da Alfredo Petralia