Questa chiesa è, dopo la Matrice, il più bel tempio che si ammira in Ciminna, e conserva ancora il nome di S. Giovanni Battista. Essa è esposta ad occidente ed ha un magnifico prospetto con tre porte d'entrata. Internamente forma tre navate divise da due ordini di cinque colonne per ogni lato, e nella tribuna maggiore è collocata la sacra immagine del SS. Crocifisso.
Ma la pietà del popolo verso la detta immagine non si arrestò alla costruzione della chiesa, ma continuò ad abbellirla ed arricchirla di preziosi arredi sacri. Nel 1792 fu adornata di stucco dal maestro Leoluca Guarneri da Corleone; nel 1811 fu eseguito da D. Francesco Quattrocchi da Palermo l'altare della tribuna maggiore, e finalmente nel 1846 fu ammattonato il pavimento e vi si fece nel centro il bellissimo dipinto. Fra gli arredi sacri sono notevoli: una sedia per messa cantata, una casupola ricamata d'oro e seta sopra raso bianco; una cappella intera di seta color latte ricamata in oro; una sfera grande d'argento indorato; due lampadari d'argento donati dai legnaiuoli di Ciminna, uno nel 1656 e l'altro nel 1663; un boccale e una palangana d'argento lasciati dal Dr. D. Calagero Cascio; una pace d'argento per gli antichi giurati, e i seguenti oggetti pure d'argento per la sacra immagine, cioè una croce d'argento con l'anima di legno lunga m. 2,18 e fatta nel 1782, un diadema, una corona di spine, una brachetta e una gioia d'oro con pietre rosse.
La chiesa di S. Giovanni Battista da per la sua importanza il nome al quartiere omonimo, e la suo storia è legata a quella del SS. Crocifisso, che si venera in essa. Anticamente era un piccolo oratorio, dedicato a S. Giovanni Battista e destinato alle pie adunanze d'una confraternita che portava il titolo del luogo e dura tuttora col nome del SS. Crocifisso. In quell'oratorio si conservava un'effigie in legno del SS. Crocifisso, che si portava nelle vie per accompagnare i morti. Or nella citata storia del detto Gigante si legge, che nel 1623 un certo Battolo Caiazza, uomo di cattiva fama, fu di notte tempo barbaramente ucciso con un colpo di fucile. La mattina seguente si raccolsero intorno al suo domicilio, ch'era nelle adiacenze del luogo ove sorge la cappelletta di S. Croce al Canale, le confraternite, i religiosi e il clero con le proprie insegne, fra le quali vi era quella del SS. Crocifisso. Ma avviata la processione, il giovane che portava la detta immagine non potè sollevarla dal suolo, né staccarla dal muro, finché il cadavere non fu giunto nella chiesa ove fu seppellito. Allora potè prenderla agevolmente e riportarla nel proprio oratorio di S. Giovanni Battista, con gran meraviglia di quanti seppero tal fatto.
Da quel giorno in poi la sacra immagine non fu portata più per le vie e, messa sopra un altare dell'oratorio, si cominciò a tenerle accesa una lampada e a dirle qualche messa con l'elemosine dei vicini. Nell'anno 1651 si pensò di venerare la sacra immagine in modo particolare. Perciò raccolte alcune elemosine, il giorno 5 maggio si cominciò, colla licenza del vicario foraneo, a chiamare il popolo colle campane, e nel detto giorno furono da Dio operati molti prodigi, che si trovano descritti nella citata storia del Gigante. Perciò fu deliberato di comune accordo celebrare in onore di essa una festa solenne e portarla in processione per le vie. Quindi chiesta ed ottenuta la licenza dell'Arcivescovo di Palermo D. Martino di Leone Cardenas e del vicario foraneo D. Santo Gigante, fu stabilito celebrarsi la festa nella prossima domenica, a dì 14 dello stesso mese.
Non si può descrivere con quale pompa e solennità essa fu celebrata. Magnifico l'apparato in chiesa, immenso il concorso dei forestieri venuti dai vicini paesi per la fama prodigiosa della sacra immagine, riuscita ogni cosa in modo stupendo; ma quella che restò per sempre memorabile, per le meraviglie avvenute, fu la processione, che è descritta diffusamente nel citato manoscritto del Gigante. Da quell'anno in poi non si cessò mai dal celebrare la detta festa in modo sempre più solenne, stabilendosi per sempre il primo giorno del mese di maggio, che da alcuni anni in qua fu trasferito alla prima domenica dello stesso mese.
Accresciuto il culto della sacra immagine, si sentì il bisogno di costruirle una chiesa più grande, che si cominciò a fabbricare nello stesso sito, ove sorgeva quella antica, e nei locali adiacenti posseduti dalla confraternita. I mezzi necessari furono apprestati da ogni ceto popolare, con obbligazioni volontarie e fatiche personali, e fra tutti si distinse il barone D. Filippo Ciminna. Non si sa l'anno preciso in cui venne cominciata la fabbrica, ma fu nella seconda metà del secolo XVII, e cominciò con tanto entusiasmo che non permise indugi e produsse alcuni errori tecnici, che si osservano tuttora. Anche le basi risentirono la fretta del lavoro, perché non sono molto profonde e quindi le fabbriche sono poco solide.
Ma con l'andar del tempo il fervore del popolo si rallentò al quanto, e si riaccese dopo per un fatto, raccontato nella relazione manoscritta, che si attribuisce al cappellano D. Filippo Cascio. Nel tempo in cui si costruiva la nuova chiesa la sacra immagine fu collocata in una cappella ben decorata della Matrice. Ora il reverendo Sac. D. Benedetto Liccio e Fedele, trovandosi nel 1709 cappellano notturno e passando una sera, alle ore 3 di notte, nella chiesa per pregare al solito la sacra immagine, nel prostrarsele innanzi videla cogli occhi aperta, e, quel eh'è più meraviglioso, sentì dirle che andasse a riferire ai rettori della fabbrica che voleva terminata la sua chiesa. A quella vista e a quelle parole restò tanto sbigottito il Liccio che, riferita l'ambasciata e ammalatesi per lo spavento, dopo pochi giorni se ne morì a 29 ottobre dello stesso anno. Allora si ripresero subito i lavori e si terminò l'opera.
Fonte: http://www.ciminna.eu/memoriedocumenti/ParteTerza/ParteTerzaCap1.htm#7Inserito da Alfredo Petralia